Maja, T. – l’accusa
Maja T. si definisce persona non binaria, ha 23 anni ed è originaria di Jena. È accusata, insieme ad altri estremisti di sinistra, tra i quali ricordiamo anche Ilaria Salis, di aver attaccato e ferito simpatizzanti della scena estremista di destra a Budapest, nel periodo compreso tra il 9 e l'11 febbraio 2023. In quei giorni, infatti, a Budapest si celebrava la “Giornata dell'onore” che commemora i soldati ungheresi e tedeschi morti durante l'assedio della capitale ungherese da parte dell'esercito sovietico dall'ottobre 1944 al febbraio 1945. In quella ricorrenza gruppi neonazisti e neofascisti di tutta Europa si danno appuntamento a Budapest.
Le autorità ungheresi accusano Maja T. di essere membro di un'organizzazione criminale dal 2017 ed emettono un mandato di arresto europeo nel novembre 2023. Maja T. è stata poco dopo arrestata a Berlino e tenuta in custodia a Dresda.
L’estradizione dalla Germania in Ungheria
Nel cuore della notte del 28 giugno, alle 3, la polizia criminale della Sassonia (LKA) preleva Maja T. dalla sua cella. Già in primavera, la Corte d'Appello di Berlino aveva stabilito che l'estradizione era possibile in linea di principio. Tuttavia, a causa della situazione in Ungheria, i giudici di Berlino avevano richiesto la garanzia che le persone non binarie fossero protette nella detenzione, facendo esplicito riferimento alle politiche anti-gender e omotransfobiche del governo di Viktor Orban.
L'Ungheria assicura che la detenzione in Ungheria è in linea con i diritti umani e che Maja T., terminato il processo, potrà scontare la pena anche in Germania.
Il pomeriggio del 27 giugno, la Corte d'Appello di Berlino stabilisce, quindi, che Maja può essere estradata. Da quel momento, tutto accade molto, troppo velocemente. Poche ore dopo, Maja viene affidata alle autorità ungheresi. Un’azione a dir poco ambigua e che pone in cattiva luce anche il sistema giudiziario tedesco.
Alla notizia che la Corte d’Appello berlinese ha dato il nulla osta per l’estradizione, gli avvocati di Maja T. presentano ricorso alla Corte costituzionale federale tedesca, la quale, con procedura d'urgenza, vieta il trasferimento in Ungheria per sei settimane, fino alla decisione finale. Purtroppo, tuttavia, la decisione arriva quando Maja T. si trova nelle mani della giustizia ungherese ormai da quasi un’ora. L’estradizione è ormai avvenuta.
Le modalità discutibili dell’estradizione
Quella notte, Maja, scortata da otto agenti pesantemente armati in un furgone della polizia, è portata all'aeroporto di Dresda, dove l'attende un elicottero. Il furgone viene accompagnato da una scorta di “almeno dieci” auto della polizia. Le strade lungo il percorso sono state chiuse al traffico. Atterrata a Passau, riferisce Maja T. stessa in un’intervista rilasciata all’emittente pubblico tedesco mdr, l'aeroporto è circondato da agenti di polizia incappucciati e con mitragliatrici. Lì viene consegnata alla polizia austriaca e, cito Maja, “trattata come un pacco”. È stata ammanettata e incatenata, le è stato messo un casco imbottito simile a quelli che si usano nel pugilato, oltre a essere poi completamente incappucciata con un sacco in testa. È stata poi portata al confine ungherese in una minuscola cella all’interno del trasporto prigionieri in un viaggio durato diverse ore, senza pause o possibilità di bere, e consegnata quindi agli agenti ungheresi alle 10 del mattino.
Maja descrive quell’esperienza come un “viaggio dell’orrore”. Secondo l’avvocato difensore, Sven Richwin, la procedura è stata concepita per rendere più difficile l'azione legale e impedire che l’estradizione venisse bloccata. I suoi avvocati, durante il trasferimento in Ungheria, non sanno dove si trovi Maja T. e nemmeno come si stia svolgendo il trasferimento stesso. L'ufficio del pubblico ministero di Berlino, incaricato di occuparsene, nega loro le informazioni per “motivi di sicurezza”. Solo verso mezzogiorno ricevono conferma che la loro cliente si trova in carcere a Budapest. Nelle settimane successive hanno poi scoperto tutti i dettagli visionando gli atti e attraverso inchieste parlamentari.
La detenzione nel carcere di Budapest
Maja racconta di una fornitura di cibo inadeguata, le hanno negato prodotti igienici. La cella in cui è detenuta è sporca, ci sono molte cimici e scarafaggi. Viene tenuta da sola, in isolamento. La sua giornata si svolge per 23 ore dentro alla cella, dove ogni suo movimento viene osservato attraverso una telecamera sempre in funzione, per un’ora in uno spazio del carcere all’aperto. Viene ispezionata completamente nuda ogni giorno. Le hanno concesso 80 minuti alla settimana di colloqui telefonici coi familiari.
Un caso di tortura sistematica
Il padre, Wolfram Jarosch, è convinto che si sia di fronte a un chiaro caso di tortura sistematica ai fini di estorcerle dichiarazioni. Ha ora avviato una petizione indirizzata al Ministro della Giustizia Marco Buschmann e alla Ministra degli Esteri Annalena Baerbock. L'obiettivo è che sua figlia venga riportata in Germania o almeno che le vengano garantite condizioni di detenzione adeguate.
Cosa succederà ora?
Finora la custodia cautelare è stata fissata fino a questo mese, ottobre 2024. Maja spera che poi cambino innanzitutto le condizioni di detenzione, in linea con le regole carcerarie europee e che possa essere rimpatriata in Germania o messa agli arresti domiciliari in attesa del processo. In particolare, però, spera che la detenzione in isolamento abbia finalmente fine. Nel frattempo, l’Associazione Repubblicana degli Avvocati (RAV) ha dichiarato che inviare una persona queer in un sistema apertamente omotransfobico come l'Ungheria viola la Convenzione europea dei diritti dell'uomo.
Ilaria Salis
La vicenda giudiziaria di Ilaria Salis è stata molto simile a quella di Maja T. e ha avuto una grande eco mediatica in Italia, ma solo dopo un anno dall'incarcerazione, per via delle immagini dell'imputata scortata in aula con catene alle mani e ai piedi.
Anche lei, come Maja T., è stata accusata del pestaggio di alcuni neonazisti durante la “Giornata dell'Onore” a Budapest ed è stata arrestata l'11 febbraio del 2023.
Un anno dopo è partito il processo. La richiesta degli arresti domiciliari è stata negata più volte, fino al 15 maggio scorso, quanto Ilaria Salis, dietro cauzione, ha potuto lasciare la cella con braccialetto elettronico. Ma è dovuta rimanere in Ungheria fino all'elezione di inizio giugno come eurodeputata del gruppo Alleanza Verdi-Sinistra. Da allora gode di immunità parlamentare e svolge il suo lavoro a Bruxelles.
Insieme all’Avv. Aurora D’Agostino, dell’Associazione Giuristi Democratici, abbiamo ricostruito il suo processo ungherese. D’Agostino l'ha seguito in aula, a Budapest. D’Agostino, sottolinea, tra le altre cose, che il caso di Ilaria Salis ci mostra come sia possibile opporre resistenza a regimi autocratici, come quello di Viktor Orban in Ungheria, e far valere le convenzioni europee, nel rispetto dei diritti umani.