Sangue a Duisburg 3. Le mani legate della polizia tedesca COSMO italiano 05.08.2022 20:34 Min. Verfügbar bis 05.08.2027 COSMO Von Cristina Giordano


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Sangue a Duisburg 3 – La polizia tedesca ha le mani legate

Stand: 12.08.2022, 17:00 Uhr

A cura di Cristina Giordano e Tommaso Pedicini

Dietro la strage di Duisburg e la faida di San Luca non c'è solo il desiderio di vendetta secondo il direttore della DIA Maurizio Vallone. La 'ndrangheta in Germania da anni allunga i suoi tentacoli, ma gli inquirenti tedeschi devono fare i conti con una legislazione restrittiva, come spiegano l'ex capo della LKA Thomas Jungbluth e il ministro dell’Interno del Nordreno-Vestfalia Herbert Reul.

Prozess um das Blutbad von Duisburg

Il luogo della strage di Duisburg, il ristorante "Da Bruno"

La faida è un vulcano

"La storia ci insegna che le faide sono come i vulcani, possono stare anche 50 anni, 80 anni spenti e poi all'improvviso c'è un'eruzione perché l'odio dentro rimane", dice il procuratore Nicola Gratteri in questo terzo episodio del podcast speciale "Sangue a Duisburg". E aggiunge: la calma apparente è determinata solo dagli interessi o da persone carismatiche capaci di imporre la pace.

La polizia di Duisburg

Il commissario Heinz Sprenger nel suo libro "Der wahre Schimanski" (Riva Verlag - il titolo strizza l'occhio al noto commissario televisivo Schimanski) racconta che quando si trovò ad indagare sulla strage di Duisburg aveva una scarsa conoscenza della criminalità organizzata italiana in Germania. La 'ndrangheta era per lui solo una delle tante organizzazioni criminali. Solo successivamente capì che aveva a che fare con una delle mafie più pericolose al mondo.

Dopo attente valutazioni in cui si paventò l'idea che si potesse spostare il caso al Landeskriminalamt del Nordreno-Vestfalia o al Bundeskriminalamt, gli organi superiori di polizia tedesca, a livello regionale e federale, la strage di Ferragosto restò tuttavia in mano alla polizia di Duisburg.

Sprenger seguì quindi tutte le indagini, partecipando anche all'arresto di Giovanni Strangio, il 12 marzo 2009, vicino ad Amsterdam. Di quell'arresto il commissario Sprenger ricorda una scena in particolare: "C'erano 570.000 euro sul tavolo e gli è stato chiesto (ndr. a Giovanni Strangio) da dove provenissero. Lui sorridendo ha detto che li aveva guadagnati come pizzaiolo".

La task-force italo-tedesca

La cattura di Giovanni Strangio è stata possibile grazie alla collaborazione internazionale delle forze di polizia italiana e tedesca.

Il 12 dicembre 2007, quattro mesi dopo la strage di Duisburg, a Berlino viene sottoscritto il protocollo di intesa per una task-force investigativa tra Italia e Germania. Lo firmano l'allora Direttore della polizia italiana Antonio Manganelli e il capo del Bundeskriminalamt tedesco Jörg Ziercke.

Sulla relazione semestrale della DIA, la Direzione Investigativa Antimafia, quell'anno si legge che la task-force italo-tedesca ha l'obiettivo tra l'altro di analizzare le matrici mafiose italiane in Germania. Identificando non solo gli affiliati ma anche i possibili canali di riciclaggio.

Il difficile rapporto tra Italia e Germania

Per risolvere il caso, gli inquirenti tedeschi e italiani sviluppano strategie comuni e si scambiano informazioni. Ma nelle nostre interviste per il podcast "Sangue a Duisburg", a 15 anni di distanza, più interlocutori ammettono una reciproca diffidenza, anche a causa dei diversi metodi di lavoro.

Sprenger nel suo libro racconta un episodio emblematico. Le vittime di quella notte di Ferragosto erano sorvegliate dalle forze dell'ordine italiane già mesi prima della strage. La Golf nera crivellata di colpi il 15 agosto 2007 era dotata di un trasmettitore GPS con unità di registrazione ed erano state piazzate delle microspie per intercettare le conversazioni dei calabresi che si erano rifugiati in Germania.

C'era il forte sospetto che stessero pianificando l'eliminazione del capo clan rivale, Giovanni Luca Nirta (Gianluca), marito di Maria Strangio uccisa a Natale del 2006. Gli inquirenti tedeschi però non erano stati informati.

L'avvicinamento tra i due paesi avviene anche durante diversi viaggi. Nel suo libro il commissario Heinz Sprenger racconta la sua visita a San Luca: "Basta guardare le ville circondate da mura di cinta protette dal filo spinato e da sofisticate misure di sorveglianza. (…) Molte delle persone che oggi vivono in Germania e si sono costruite un'immagine rispettabile qui" hanno case blindate a San Luca.

Lo strano caso del ristorante "Da Bruno"

Nel corso delle indagini, la polizia tedesca ha ricostruito la storia del ristorante "Da Bruno" davanti al quale è stata compiuta la strage di 'ndrangheta. Negli anni '80 esisteva già a Duisburg un ristorante con questo nome, aperto anch'esso da calabresi. Nel corso degli anni ha cambiato proprietario e indirizzo fino ad arrivare alla "Klöcker-Haus" nella Mülheimerstraße 38. Il nome però è rimasto sempre lo stesso: "Da Bruno". Fino a quel 15 agosto 2007.

Il primo proprietario del locale, dopo la caduta del Muro di Berlino, si era trasferito a Erfurt, nella Germania dell'Est, dove aveva acquistato "metà del centro città" - così scrive Sprenger -,  comprando ristoranti, pizzerie e bar. Nessuno si è preoccupato della provenienza dei suoi soldi. I suoi locali erano frequentati da politici.

La protesta dei ristoratori italiani in Germania

In quegli anni gli italiani in Germania cercano di prendere le distanze da pericolosi cliché che associavano i locali italiani alla mafia.

Laura Garavini, allora non ancora eletta in Parlamento, ma successivamente e ancora oggi parlamentare per PD e Italia Viva, vive a Berlino. Qui fonda l’associazione "Mafia? Nein Danke!" (mafia? No grazie!). E racconta ai nostri microfoni: "I giornali tedeschi iniziarono a dire: dove c'è pizza c'è mafia. E quindi nacque il bisogno di dire il contrario. Dove ci sono italiani c'è legalità, c'è voglia di essere contro la criminalità organizzata."

Non solo una vendetta

Secondo Maurizio Vallone, oggi a capo della DIA, la Direzione Investigativa Antimafia, la faida di San Luca non fu generata solo ed esclusivamente da motivi personali: "La 'ndrangheta così come tutte le altre mafie si muove esclusivamente per ragioni economiche, nascono per fare soldi, per fare affari. E poi la violenza è soltanto un modo diverso per utilizzare la propria forza, per ottenere maggiore potere e maggiore controllo del territorio. La faida di Duisburg si inserisce in questo contesto".

La 'ndrangheta in Germania

All'epoca dei fatti Thomas Jungbluth era a capo del Landeskriminalamt (LKA) in Nordreno-Vestfalia. In una lunga intervista racconta quanto la 'ndrangheta sia diffusa sul territorio tedesco: "Lo scorso anno abbiamo identificato 150 persone riconducibili alla 'ndrangheta, ma questo non significa che abbiano necessariamente commesso reati. Si tratta di calabresi nati qui", altri immigrati, altri ancora sono di passaggio, aggiunge Jungbluth: "Non c'è una vera roccaforte, ma possiamo affermare che si trovano soprattutto nel Niederrhein, cioè nella parte occidentale della regione della Ruhr. Anche se abbiamo avuto casi pure a est della regione."

La polizia tedesca ha "le mani legate"

Il classico principio "follow the money", segui il denaro per risalire ai criminali, dice Thomas Jungbluth, per la polizia tedesca non sempre funziona: "Abbiamo  spesso le mani legate perché si deve dimostrare la presenza di un reato. La 'ndrangheta allunga i suoi tentacoli in Germania per fare investimenti. Ma la testa sta in Italia. Abbiamo bisogno di più informazioni su come arrivano qui questi soldi. Perché noi non abbiamo la stessa possibilità di sequestrare i beni come succede in Italia", dice Jungbluth.

Il ministro dell'Interno del Nordreno-Vestfalia Herbert Reul, politico della CDU, aggiunge: "Si può sempre migliorare, ma all'interno dei quadri giuridici ci sono dei limiti. Non abbiamo la possibilità di avere una legislazione speciale sulla mafia come quella che esiste in Italia, dove il solo essere membro di un'organizzazione criminale è reato. Da noi, non è pensabile, perché dobbiamo fornire prove concrete in ogni singolo caso. È un impianto giuridico diverso. Possiamo dire che abbiamo una cultura legislativa diversa."

Eppure secondo Wilfried Albishausen, per anni a capo del commissariato di Duisburg, la Germania non ha reagito in maniera adeguata.

Già in passato si sarebbe potuto fare di più per frenare l'invasione della criminalità organizzata in Germania: "Lo si poteva immaginare anche semplicemente osservando ed entrando nei locali, e capendo da dove vengono i loro profitti. Già in passato c'erano locali che servivano fondamentalmente solo al riciclaggio di denaro, dove non andava mai nessuno, ma dichiaravano grandi entrate e pagavano anche le tasse. Se si paga il 30% di tasse, il 70% è denaro pulito e così il denaro rientra in circolo legalmente."

"Perché i tedeschi pensano che non ci sia la mafia in Germania? Perché in Germania di mafia non si può parlare, se non quando ammazzano", ha detto in passato lo scrittore Roberto Saviano, che aggiunge: "Ho la convinzione che la Germania rischi tantissimo di essere profondamente infettata e non accorgersene."

La 'ndrangheta in Europa

Oggi la 'ndrangheta non tocca più gli stupefacenti ma appalta ad altre organizzazioni criminali il trasporto, la consegna, la distribuzione in Europa, dice il direttore della DIA Maurizio Vallone. La mafia calabrese "si limita a fare da garante per la parte economica tra i produttori, per lo più colombiani, in generale sudamericani, e la grande distribuzione in Europa, che oggi viene affidata in gran parte a clan di origine dell'est Europa, albanese, croata e altre consorterie dell'est Europa", dice Vallone, che paragona la mafia calabrese a un efficientissimo broker finanziario.

Clicca in alto per ascoltare il terzo episodio di "Sangue a Duisburg", il nostro speciale sui 15 anni dalla strage di Duisburg - quando la Germania si scoprì terra di mafia.

Le ricerche negli archivi, le interviste, la ricostruzione del caso e il testo sono di Cristina Giordano. La supervisione è di Tommaso Pedicini.